Saturday, March 31, 2018

Simon Boccanegra - Teatro alla Scala


Foto: Brescia&Amisano- Teatro alla Scala

Massimo Viazzo

Come terza opera dell’attuale stagione, il Teatro alla Scala ha ripresentato il Simon Boccanegra firmato da Federico Tiezzi, uno spettacolo coprodotto con Berlino e andato in scena per la prima volta nel teatro milanese nel 2010 con Placido Domingo nel ruolo del titolo, e riproposto a più riprese a Milano e anche all’estero in tournée.  Bisogna dire che questo allestimento, coerente, funzionale e rispettoso, continua a mostrare una certa staticità di fondo, con scene, tutto sommato tradizionali, ben composte ma non sempre coinvolgenti. L’entrata delle “plebi” durante la straordinaria scena del Consiglio dei Dodici (aggiunta fondamentale nella seconda versione dell’opera elaborata da Verdi con Arrigo Boito nel 1881) è fiacca; ma anche quella di Simone nel “palagio altero” del Prologo non appare così angosciante e spettrale. Uno spettacolo dignitoso e discretamente bello da vedere, ma al quale si richiederebbe una marcia in più a livello emotivo. Demiurgo della serata è stato Myung-Whun Chung. Il maestro coreano ha concertato la partitura con passione e finezza. Ogni frase, anzi, oserei dire ogni nota è stata analizzata e soppesata in una visione globale interpretativa di grande equilibrio ma anche anima. Chung ha lavorato cesellando le frasi più intime, ma ha saputo anche trarre energia e vigore dai complessi scaligeri senza mai debordare e ha tenuto un passo teatrale drammaticamente efficacissimo. Era dai tempi del celebre Boccanegra diretto da Claudio Abbado che non si sentiva una direzione orchestrale così rifinita e coinvolgente di quest’opera. Anche il cast si è rivelato all’altezza, a cominciare dall’autorevole Simone di Leo Nucci, un baritono, amatissimo alla Scala, la cui vitalità e longevità vocale non finiscono di stupire. Il suo è stato un Simone umano, sofferto e drammaticamente credibile. Il suo antagonista, Jacopo Fiesco, è stato interpretato dal Dmitry Beloselskiy. Il basso ucraino ha mostrato voce ampia e voluminosa anche se il registro più grave è risultato un po’ debole. Fresca e candida l’Amelia di Krassimira Stoyanova, un soprano musicale dalla timbrica luminosa. Fabio Sartori nei panni di Gabriele ha sfoggiato una facilità di canto encomiabile, con acuti fermissimi e puliti, e notevole smalto. Di colore chiaro ed emissione corretta la voce baritonale di Dalibor Jenis, un Paolo giustamente insinuante, e, come sempre esemplari gli interventi di Ernesto Panariello (Pietro), una assoluta sicurezza nelle parti di fianco delle produzioni scaligere di questi anni. E come dimenticare il magnifico Coro del Teatro alla Scala che sotto la direzione di Bruno Casoni si è nuovamente coperto di gloria!

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